Valerio Dehò

IL MONDO DI LISA

 

“la pittura è colore in azione”

Josef Albers

 

Certamente è il colore che attrae immediatamente nei quadri di Lisa Perini, perché è il colore che domina e assorbe la percezione dell’opera, la sua totalità. Grazie alla dominante cromatica questa possiede una radicalità che mette in crisi il sistema tradizionale e codificato del tonalismo e anche l’esperienza minimalista dell’arte contemporanea che prosciuga la pittura nella monocromia. Non si tratta di dare valore assoluto al colore, isolandolo rispetto all’ambiente come presenza esistenziale sciolta da ogni legame con la pittura, ma di dargli un valore che non sia nemmeno esclusivamente simbolico.

È chiaro come questa simbolicità sia ineliminabile perché siamo influenzati dai colori nella nostra attività organica, figuriamoci in quella storico-culturale. Ma prima di arrivare a questi aspetti nel lavoro della Perini si avverte chiaramente come in colore sia per lei un liquido amniotico in cui far “vivere” i suoi oggetti e i suoi personaggi. L’artista oltre a procedere con una fortissima semplificazione iconica e cromatica, dà vita, quasi in senso letterale, ad un proprio mondo che riceve linfa dalla materia del dipingere. La tecnica ad olio amplifica questa sensazione. E a guardare e riguardare i suoi quadri, sempre intensi e di una densità sentimentale straordinaria, si cerca sempre di coglierne l’essenza. Questa, a mio parere, appartiene non solo alla ricostruzione di un universo personale che si riflette e diarizza sulla tela, ma soprattutto in questa concezione della pittura come nutrimento. Le “alte paste” come si diceva un tempo dell’Informale sono in realtà una tensione a nutrire l’opera e i suoi numerosi componenti. L’iperselettività e quindi la mancanza di una visione gestaltica non riesce mai, soprattutto da quando negli ultimi dieci anni è cresciuta la sua consapevolezza tecnica, a scardinare la centralità della massa coloristica che è vero legame e legante biologico delle sue composizioni.

Trovo questo aspetto dinamico una vera e propria materia vivente che Lisa Perini organizza in forme sempre diverse, sempre più volontariamente destrutturate. Forse una certa gerarchia tra le figure emerge soprattutto nei bellissimi nudi femminili della fine degli anni ’90, ma il vuoto non ha motivo di essere proprio perché c’è la materia del colore che satura e innerva la composizione. Da storico dell’arte, l’idea che sorge riguarda proprio le sue fonti d’apprendimento, perché in queste figure, più che in altri lavori, la memoria del primo espressionismo o la insubordinazione fauve alla prospettiva emergono limpide, così come traluce la superba lezione di Matisse.

Ma Lisa Perini guarda e ricrea, il suo percorso di apprendimento come artista, sembra sempre essere stato una forma di affinamento e presa coscienza degli strumenti linguistici. Ogni suo progresso nella padronanza delle tecniche viene usato per aumentare le sue possibilità di creazione del proprio mondo, come se questo si strutturasse in un percorso parallelo di crescita e immaginazione. Certamente nei grandi quadri rossi, già perfettamente indagati da altri studiosi, o nei più recenti e incredibili “bianchi”, è proprio la pittura che si fa sostrato vitale, materia mielosa che accompagna i personaggi e che sostiene gli oggetti che si affastellano per molteplici associazioni.

Tale polarizzazione bianco/rosso è indicativa di come l’idea oppositiva del vitalismo e della scomparsa siano per Lisa Perini centrali nella sua riflessione pittorica. Il bianco che appare nei suoi quadri, probabilmente in relazione alla scomparsa di un affetto familiare, è di per sé il colore/non colore della morte, della perdita. Ci sono pagine bellissime di Sartre a proposito e lo stesso Camus parlava del bianco abbacinante dell’ora meridiana, in cui l’accecamento della luce può produrre ogni cosa e l’assurdo dell’esistenza si manifesta. Se il bianco è candore e verginità, presso molte culture come quella cinese diventa simbolo di morte. Ma soprattutto in questo caso otre “il dominio del rosso” c’è proprio il bianco ad attendere gli esiti di una riflessione poetica sulla vita che non può che confrontarsi anche con il suo limite.

È anche vero che nel corso della sua attività l’esperienza del colore è stata per la Perini sufficientemente ampia, ma certamente la sua focalizzazione è andata nella direzione appena accennata. E poi c’è tutto il suo universo di object trouvè che procede di pari passo con la pittura e che soprattutto nella pittura trova la sua espressione più compiuta. Qui diventa simbiotica, mentre nelle sculture, negli oggetti tridimensionali, i frammenti di vetri, plastiche e le “cose” in generale sono più manifestamente legati al supporto. La pittura li fa vivere inglobandole nel tessuto magmatico-epiteliale, diventano più integralmente parte del tutto. I vetri, i catarifrangenti delle auto, i frammenti dei fanali hanno sempre a che vedere con la luce e la trasparenza. Da un lato sono oggetti che portano con se la propria storia, sono quasi lacerti del mondo altro che vengono assorbiti e fatti propri dall’artista. Dall’altro sono dei simboli di attraversamento e di declinazione della luce verso una direzione consapevole quanto voluta. In fondo è la ragione stessa della pittura non solo di dare forma ai sogni e ai sentimenti, ma anche di catturare la luce e di fissarla sulla tela. Linguaggio e materia in Lisa Perini sono perfettamente coesi, proprio perché vi è una sorta di organicità nel suo uso massiccio del colore che è realmente luogo e sostanza delle opere. Tutto vive in uno slancio vitalistico che è molteplicità, che riflette i punti di vista e rifrange, anche fuor di metafora, le linee luminose.

Questa capacità di creare intensità. Forza ed energia, sono le caratteristiche del lavoro dell’artista trevigiana, che partendo dalla creazione di un proprio mondo concentrato nella composizione e nel colore, è riuscita a trovare innumerevoli ed esteticamente validi legami con il mondo esterno. E questa sua capacità di relazione è tanto più importante perché il proprio linguaggio non è stato confinato nel recinto soltanto della pittura, anche se questa resta centrale e baricentrica. La sua curiosità verso forme d’esperienza e di suggestione diverse, l’ha condotta verso la fotografia, la grafica, il light box e l’installazione. Questo testimonia di una capacità di sintesi e di apertura alla conoscenza che in molti artisti tende a rarefarsi una volta trovata la propria cifra stilistica. In questo caso la sua magnifica libertà sta proprio nel far parte del mondo dell’arte, ma sempre restando dalla sua parte, senza mai scendere a compromessi che possano prosciugare la sua capacità creativa. Come a dire che nella ricostruzione della sua poetica molti elementi ancora dovranno comparire perché attendono ancora d’essere tradotti nei linguaggi dell’arte, anche se nello stesso tempo uno sguardo complessivo al suo lavoro rivela una personalità formata e matura. Per Lisa Perini l’unione di arte e vita è perfetta, come quella tra la sfera linguistica e la sentimentalità del fare, strada maestra per comunicare e la trasmettere emozioni.

 

Valerio Dehò

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